Emanuela Castello nel suo libro “Lacrime cancellate” ricostruisce le vite di una quindicina di donne, per trattare un tema assolutamente meritevole di attenzione: la depressione perinatale.
Il pregiudizio è un atteggiamento che, come tale, è costituito da una componente affettiva, caratterizzata dal tipo di emozione correlata, da una componente cognitiva che ingloba credenze o pensieri (stereotipi) e da una comportamentale, correlata alle azioni di un soggetto.
L’intero globo terrestre è intriso da stereotipi definiti dal giornalista Walter Lippmann come “le piccole immagini che ci portiamo dentro la nostra mente”. Se analizziamo i dati all’interno di una determinata cultura, ci accorgiamo che queste immagini tendono ad essere straordinariamente simili, in quanto sopraggiunge l’elemento normativo a fare da guida ai nostri pensieri. Questo comporta una radicalizzazione delle stesse che, come conseguenza, accompagna gli stessi stereotipi a resistere fortemente al cambiamento. Di per sé non rappresentano elementi negativi, ma un modo per semplificare la visione del mondo e permettere alla nostra mente di ottimizzare l’energia cognitiva, per preservarla in caso di necessità impellenti; a questo proposito Allport (1954) parla della “legge del minimo sforzo”.
Purtroppo, come ogni radicalizzazione, si rischia di generalizzare in eccesso laddove, invece, servirebbe una maggiore accuratezza e soprattutto delicatezza.
Pensiamo alla donna durante la gravidanza: è opinione comune che dovrebbe essere uno dei momenti più felici dell’esistenza, perché accoglie prima dentro di sé e poi all’esterno una nuova vita, un nuovo battito, un nuovo respiro.
Ma non è sempre così! Qualcuno potrebbe stupirsi di quanto scritto, ma questo è sempre ricollegato al concetto appena dispiegato, accentuato dal fatto che ancora oggi, nemmeno media e mass media se ne occupano con la dovuta competenza e dedizione. Dunque l’informazione riguardo la salute mentale durante il periodo perinatale tende ad essere ancora troppo sporadica ed incompleta.