Il paziente con Disturbo Borderline di Personalità potrebbe essere paragonato ad una fiamma che assorbe grandi energie dall’ambiente, fatto dagli altri significativi, dagli operatori e brucia questa energia nelle relazioni.

“Avete mai confuso un sogno con la vita? O rubato qualcosa pur avendo soldi in tasca? Siete mai stati su di giri? O creduto che il vostro treno si muovesse, mentre invece era fermo? Forse ero pazza e basta, forse erano gli anni ’60 o magari ero solo una ragazza… interrotta.”

Inizia così il film drammatico di James Mangold del 1999 “Girl, Interrupted”, film che lungo tutta la trama ha come punto focale il concetto di salute mentale. Che differenza c’è tra un individuo definito “sano” ed una ragazza “interrotta”? Come si descrive un disturbo mentale? È l’equivalenza di un malfunzionamento o forse una persona folle è semplicemente qualcuno che si oppone alle regole ed alle convenzioni sociali, come Susanna Kaysen che cerca di opporsi a quello stile di vita dei genitori troppo conformista? Dove si trova, se esiste, il limite?

Ed è proprio su questo limite che la letteratura scientifica ha cercato delle risposte, passando nel DSM-5 da quella che era una ricerca e diagnosi categoriale dei disturbi di personalità ad una alternativa dimensionale che tenesse conto quantitativamente dei livelli di malfunzionamento e dei tratti di personalità patologici. Letteratura che, in particolar modo si è concentrata su uno di essi, ovvero il disturbo borderline di personalità. Il termine inglese ha proprio il significato di «linea di confine» e originariamente indicava forme atipiche di schizofrenia. Sulla linea line di confine border tra nevrosi e psicosi. Le prime descrizioni risalgono agli anni trenta, quando appunto la nosografia psichiatrica divideva tutti i disturbi nelle macrocategorie delle nevrosi e delle psicosi, ma da allora la diagnosi ha subìto diverse modifiche ed è stata riferita a svariati quadri clinici, assumendo connotazioni diverse in ambito sia psicoanalitico che psichiatrico.

Due sono le caratteristiche enunciate dal DSM riguardo a tale disturbo: “Forte instabilità nelle relazioni, nell’immagine di sé e nell’umore, associata ad intense angosce abbandoniche; è presente una marcata impulsività”. Instabilità ed impulsività che fortemente richiamano il concetto di linea: cammino barcollando su questa fune, come quella usata da un equilibrista, senza trovare mai una stabilità, sempre con la sensazione di cadere da un momento all’altro e di non avere nessuna speranza. Cammino, anzi corro lungo questa fune, a volte in preda al panico di farmi sovrastare dalle forti emozioni, ma, allo stesso tempo, di avere la sensazione di farmi trascinare in azioni che comportano rischio e pericolo, incapace di resistere alla tentazione di farlo.  Drogaalcol, guida pericolosa, sesso promiscuo, tutto senza un criterio di logica, solo istinto. Ed intanto continuo ad oscillare e a vivere rapporti tumultuosi, caratterizzati da un’alternanza tra idealizzazione e svalutazione, con la paura radicata dell’abbandono. Ma abbandonato in che cosa? In una corsa senza fine, lungo un filo di cui non riesco a vedere più il principio, ma nemmeno intravedere un orizzonte. Una sorta di limbo sospeso, in cui la realtà a tratti appare trasformarsi e in cui il senso di frammentazione e di salto nel buio è angosciante. Evidente è la disforia che sovrasta la persona, un cavallo indomabile che porta, ad esempio, Susanna Kaysen, a provare una forte rabbia nei confronti di una società che impone modelli e regole troppo rigidi, rabbia che investe anche la sfera famigliare, in quanto caratterizzata da valori alto-borghesi troppo legati a mantenere quell’apparenza delle cose riconosciuta e validata dal mondo esterno. Disforia che le provoca momenti di alta tensione, in cui addirittura sembra sentire delle “voci” e in cui sente il desiderio irrefrenabile di alleviare il forte dolore con l’automutilazione e con pensieri di morte.

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